Ecco l’articolo pubblicato oggi 28 settembre sul quotidiano Alto Adige

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«Natura e avventura, è il gioco della vita»
di Fabio Zamboni
«Una volta scout, sempre scout» titolava nel 2005 il volume pubblicato dalla sezione bolzanina del Cngei per celebrare i suoi primi 60 anni. Un atto di fede – benché l’ associazione sia dichiaratamente laica – che si trasmette anche alle nuove generazioni, benché i tempi siano cambiati e anche se il numero degli iscritti (oggi 180) non sia più quello di trenta o quarant’ anni or sono. Ora ci sono da celebrare i settant’anni della sezione, e i dirigenti dell’ associazione hanno deciso di farlo seriamente, organizzando una conferenza il 30 settembre e una manifestazione all’ aperto il 2 ottobre (parco Baden-Powell, ponte Roma, ore 14.30). All’ Auditorium Lucio Battisti il 30 settembre gli scout e le loro famiglie – dopo l’ introduzione del presidente di sezione Adriano Ruotolo – potranno ascoltare le relazioni di due docenti universitari che sono orgogliosamente scout: il bolzanino Andrea Bonoldi, docente di Storia economica all’ Università di Trento, esplorerà i settant’ anni dello scautismo locale, mentre Nicola Barbieri, docente di Storia della pedagogia all’ ateneo di Modena-Reggio si occuperà del progetto pedagogico che sta ala base dell’ associazionismo scout. Li abbiamo intervistati. «Sono scout da sempre – ci dice Andrea Bonoldi – lo sono diventato a otto anni e poi non sono più uscito, fino a diventare dirigente».
Ma quali sono i momenti fondamentali di questa lunga storia dello scautismo bolzanino?
«La parte più interessante mi sembra quella iniziale, i primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Perché era una fase di trasformazione del Paese, uscito dalla guerra e da una lunga dittatura, di fronte a grandi cambiamenti di tipo economico e sociale. E gli scout diventarono un punto di riferimento per la costruzione di una identità cittadina, in una realtà mistilingue. A maggior ragione in una comunità italiana che proveniva da regioni diverse e da diverse culture. Quei punti di aggregazione, come gli scout e come le prime associazioni sportive, furono preziosi per trovare legami nella comunità».
Il Sessantotto segnò un momento critico.
«Certo, gli scout dovettero misurarsi con gli anni della politicizzazione dei giovani, la creazione di una coscienza diversa, ma lo scautismo seppe adattarsi. Ad esempio formando gruppi misti, non più divisi per sesso. Negli anni successivi, con il boom dello sport e delle varie associazioni sportive, lo scautismo dovette fronteggiare nuove “concorrenze”, riuscendo ad aggiornare i propri metodi, anche se non è stato facile. Ma oggi il movimento è ancora vitale».
Perché quei valori – solidarietà, consapevolezza, autonomia, natura… – sono ancora validi?
«Perché sono la base per creare un buon cittadino. E poi non sottovaluterei il rapporto con la natura e la dimensione dell’ avventura. Tutte cose che aiutano a diventare autonomi, a crescere davvero».
E la figura di Baden-Powell, fondatore degli scout? Anacronistica?
«Beh, parliamo della seconda metà dell’ Ottocento e quindi di una figura che va inserita in quel contesto storico. Non dobbiamo farne un santino ma raccontare la storia di un personaggio che avuto un’ intuizione straordinaria creando piccoli gruppi di ragazzi che facevano esperienza nella natura. Un valore senza tempo». Il professor Nicola Barbieri, pedagogista, docente di Educazione e scienze Umane all’ Università di Modena-Reggio, ha messo mano al progetto educativo della Cngei nazionale. «Ho coordinato la commissione che doveva rinnovare il progetto educativo globale, in particolare ho redatto la versione finale. Come scout di lungo corso, è stato un piacere».
E com’ è cambiato il progetto?
«Il progetto era una sorta di linea-guida del percorso formativo di un giovane scout, dal lupetto fino allo scout adulto, e abbiamo cercato di rendere omogeneo il passaggio attraverso le tre fasi, prima forse troppo divise tra attività formative e attività manuali e ludiche. Tutto più omogeneo, insomma».
Se al convegno di Bolzano il suo collega Bonoldi si occuperà soprattutto del passato degli scout, della loro storia, Lei metterà a fuoco più il presente e il futuro. Ecco, possiamo dire che gli scout hanno un futuro, benché qualcuno li consideri anacronistici nelle loro belle divise?
«Il futuro dello scautismo è già nella sua storia, perché quello che ha inventato Baden Powell è stato un gioco che ha a che fare con quello che gli esperti chiamano le costanti antropologiche, in parole povere il gioco della vita. Lo scautismo non è altro che la vita replicata in un contesto diverso: stare insieme, farsi da mangiare, ripararsi dal freddo e dalla pioggia, attrezzarsi per la notte. Insomma, diventare autonomi. Oggi si usa il cellulare e il computer, ma la sostanza non cambia». Valori immutati e nuovi strumenti per condividerli. «Certo. Del resto il valore assoluto della fratellanza è ancora più prezioso e attuale in un mondo globalizzato come quello di oggi. Quando parlo di scautismo parlo di esplorazione e avventura. Scout vuol dire esploratore, avventura vuol dire “andare a vedere le cose che stanno per venire”. Avventura dal latino “ad ventura”. Una ricetta che funziona sempre». Legami con Bolzano? «Ho sempre avuto rapporti con gli scout bolzanini, conoscevo bene Gianfranco Trevisan, una delle anime dello scautismo bolzanino. E poi ho un ricordo indelebile di un campo nel 1982 ad Arco, nel Trentino. Ero nel gruppo organizzativo…».