Ricordo di “Piè Veloce” Gianfranco Trevisan
Sulla attività svolta da Gianfranco Trevisan nella vita scout molto è stato scritto e detto, non potrei dire di più o meglio. Al riguardo rimando:
– alla monografia apparsa su Corte d’Onore nel 1997 a cura dell’Ordine scout di S. Giorgio;
– all’articolo sul nr. 119 di Esperienze e Progetti a cura di Mauro Furia.
Raccogliendo l’invito del Clan Senior di Bolzano mi voglio invece soffermare su una serie di ricordi diretti e personali, senza necessariamente esporli in ordine temporale.
Era il 1967, avevo 14 anni. All’inizio dell’anno scolastico un amico di gioco mi parla degli scout, ricordi d’infanzia (lupetto Asci a Bressanone) si risvegliano; famiglia d’accordo, accetto l’invito, al sabato mi trovo in via Portici inquadrato nella Ptg. Antilope e conosco il CR, Piè Veloce, al secolo Gianfranco Trevisan. Un sorriso accattivante, uno sguardo diretto, un modo coinvolgente di presentare le attività, quelle che molti di noi hanno conosciuto e praticato. Fin da subito di quell’uomo mi garbano il modo di fare le cose: con entusiasmo, traendo da ogni piccolo lavoro in primo luogo il piacere farlo bene e con precisione.
L’estate successiva Antilopi e Lupi prendono parte al Campo Nazionale di Pianello di Cagli, Gianfranco è con noi. Nel piantare le tende (le mitiche Mottarone) viene la raccomandazione di controventarle con cura, vedi mai che venga vento… Dopo qualche notte si scatena una bufera, Gianfranco appare accanto alle tende e da pochi suggerimenti; ci ritroviamo a fare i turni a quattro alla volta per tenere a terra, vestiti per bene, gli angoli della tenda, mentre gli altri si riposano nella tenda. Alla mattina torna il sole e possiamo vedere quante tende sono volate in cima agli alberi; non le nostre: Lupi e Antilopi fanno colazione al loro posto.
Probabilmente è già nella stessa estate che conosco Laghel, ancora nella casa sul valico; mi trovo da solo con in mano un paio di guanti, una forbice e un rastrello o un forcone e con l’incarico di pulire i rovi lungo la strada di accesso. Al primo giro non sono molto produttivo e c’è il rimprovero ma anche una spiegazione pratica su come fare meglio.
Passa qualche anno, mi ritrovo al primo anno di compagnia. A teatro Franco Parenti porta in scena un pezzo di Ruzzante in dialetto veneziano, credo fosse “La Betía”. La Scacciapensieri decide di andarci. Per l’ingresso è richiesta la maggiore età. Gianfranco garantisce che siamo maggiorenni, ci ritroviamo tutti in sala vestiti come si conviene a seguire lo spettacolo. Da lì nacque la chiamata “Hei soldò”, che negli anni a seguire si sentirà spesso e volentieri rimbalzare nelle gite e nella valle di Laghel.
Le serate con l’armonica a bocca le ricordiamo in molti, bastava trovare che accompagnasse con la chitarra. Quando chiesi “ma come si suona questo strumento?” si prese il tempo di mostrarmi i rudimenti tecnici e darmi i consigli giusti.
Con colori e pennelli Gianfranco ci sapeva fare. Mi propose di aiutarlo nell’allestimento della nuove sede di via Zara: tavoli, panche e casspanche da preparare e dipingere a più colori, con disegno sottili e da fare con precisione. Con pazienza mi ha insegnato alcuni piccoli accorgimenti che mai ho dimenticato. Alla fine un “bravo” è venuto ma importante è stata la sfida proposta e la soddisfazione di un lavoro ben portato a termine e ancora oggi visibile. A seguire disegni e schede tecniche per la sezione, montaggi e riparazioni, sempre iniziati con opportune indicazioni e suggerimenti. Se oggi mi trovo ad avere mani abili, molto devo anche a lui.
Potrei continuare parlando di ricci addormentati e presi in mano per essere accarezzati o di cavallette mangiate davanti ai lupetti. Mi fermo invercer qui con i ricordi miei per riprendere le parole di Franz Adami [Corte d’Onore, pag.8]: “Gianfranco Trevisan aveva anche molti difetti: dalla facilità all’arrabbiatura, si potrebbe definire quasi collerico, alla facilità d’uso di un linguaggio poco nobile, senza fare attenzione neppure alla presenza dei ragazzi. Questa istintività lo portava anche a grandi innamoramenti e a forti antipatie e chiusure; nulla di definitivo e la sua generosità sapeva superare tutto questo aprendo le porte di casa sua a chiunque fosse disposto a lavorare per il Corpo Nazionale.”.
Venne infine anche il periodo dello scontro, che, assieme agli impegni universitari e familiari, mi portò ad allontanarmi per battere sentieri differenti. Periodicamente, nei miei passaggio per Bolzano, ci sentivamo.
Concludo con alcune riflessioni.
Era un uomo libero, libero pensatore e libero muratore, come gradiva pensarsi. Come tutti aveva difetti e pregi, ma amava profondamente la Vita. Non era uomo che lasciava indifferenti. Questo amore profondo per la libertà e per la Vita è ciò che di lui maggiormente contagiava.
Accanto a quest’uomo sono passati molti giovani divenuti poi adulti, certamente tutti quanti siamo qui oggi e molti altri che non sono presenti o già sono partiti per l’ultimo viaggio. “È vissuto nell’amore verso il prossimo, verso i giovani, insegnando loro … ad essere tolleranti per cercare di capire la parte migliore di ogni uomo.” [Massoneria Italiana, Corte d’onore, pag.9]. Ricordi nostri, come quelli che ho raccontato, infiniti nel numero, sono intimamente legati all’uomo di cui stiamo raccontando. Ognuno ha imparato a guidare da se la propria canoa, percorrendo sentieri spesso differenti, nel pieno rispetto della Vita. Se questo è accaduto, se siamo oggi qui riuniti, buona parte del merito va alla semina fatta da Gianfranco.
Buon Cammino a tutti.
Laghel di Arco, 19 Marzo 2017
Toomai Operoso(diego maniacco)
Scrivi un commento